Siamo molto felici di riportarvi quanto abbiamo pensato di presentare, sotto forma di relazione congressuale co-condotta a “tre voci”, al Corso Residenziale organizzato dalla dott.ssa Lorenza Borin all’interno dell’Ospedale San Gerardo ASST Monza: “Le Parole nella Cura del Paziente”.
All’evento sono intervenuti specialisti di diverse discipline che concorrono quotidianamente al benessere del paziente (medici, psicoterapeuti, infermieri afferenti a Reparti dedicati a diversi ambiti d’intervento: Ematologia Pediatrica ed Adulti, Oncologia, Cardiologia, Terapia Intensiva, etc) con l’intento di confrontarsi su come sia adeguato porsi nel comunicare con il paziente ed i suoi familiari.
Per questo motivo, i temi introduttivi di riferimento alla “buona comunicazione” sono stati riportati dalla Prof.ssa Maria Grazia Strepparava della Psicologia Clinica del San Gerardo, mentre la dott.ssa Lorenza Borin ha mediato i diversi contributi portati dai relatori. Tra cui la nostra relazione che ora vi alleghiamo per rendervi partecipi al tema, caro a tutti, della comunicazione tra operatori Sanitari e Paziente/Familiari.
Nello specifico il nostro contributo si è incentrato sulla necessità di curare la buona comunicazione con il paziente a partire da una buona comunicazione tra Operatori che lavorano insieme in equipe multidisciplinare (medici, infermieri,,OSS, psicologi, fisioterapisti, nutrizionisti, etc)
Noi siamo partite dall’evidenza che in tutti gli ambiti interattivi, di scambio d’informazioni, di comunione d’intenti è la volontà d’incontrarsi, capirsi, relazionarsi con l’altro, a determinare la riuscita della comunicazione.
Questo assunto vale sia in ambiti clinici di comunicazione al paziente e
ai suoi familiari, che in sede di equipe multidisciplinare integrata. L’‘amalgama relazionale’ che si viene a creare tra chi sta interagendo determina infatti le modalità di comunicazione con l’Altro e la sua riuscita. Ciascuna presa in carico del paziente richiede dunque un buon grado di flessibilità,
da parte degli Operatori sanitari, verso diverse variabili cliniche e
personologiche con cui si entra in relazione nell’atto di cura.
Si potrebbe meglio dire che comunicare coincide sempre con l’accettare che l’Altro sia “Altro da Sé”.
Qualcuno da conoscere nelle sue modalità espressive, concettuali e
personologiche, qualcuno da rispettare ed ascoltare oltre che “riempire”
di parole, concetti o informazioni. Questa attenzione alla matrice
relazionale della comunicazione è preziosa in qualunque contesto ma a
maggior ragione in ambito sanitario, di cura. Ciò vale nella relazione a
due tra Operatore Sanitario e Paziente/Familiare che nella relazione
che gioco forza si crea tra il Paziente/Familare e l’intera Equipe
Multidisciplinare.
Sono tante le figure professionali che devono supportare il paziente o i suoi familiari durante il percorso di cura e per questo motivo, in una equipe ideale, ciascun operatore dovrebbe tutelare un tipo di comunicazione empatica con l’utenza che risulti lineare, coerente e chiara, a partire dall’accordo interno all’équipe stessa.
L ‘amalgama relazionale’ tra le diverse figure curanti deve dunque creare le basi per una buona comunicazione interna, prerequisito stesso alla comunicazione poi con l’utenza.
Prima dell’attenzione posta sul “come e quando comunicare al paziente”, deve essere posta attenzione al “come e quando comunicare all’interno dell’équipe multidisciplinare”, tra le diverse figure professionali in campo (medici ematologi, trapiantologi, infermieri, OSS, psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti, etc) e le loro differenti competenze.
Ciascuna presa in carico mira infatti a creare un ponte che accompagni il paziente e la sua famiglia verso la sponda opposta al disagio e alla malattia. Nessun ponte però vede il proprio peso sorretto da un solo pilastro. Tutti i pilastri sono portanti. Motivo per cui, in equipe, ciascun Operatore deve percepire l’Altro, il collega, lo specialista di un’altra funzione, altrettanto indispensabile e necessario, qualcuno con cui collaborare e confrontarsi in itinere sulla cura e sulla comunicazione in atto con il paziente ed i suoi familiari.
Dall’osservazione dei Codici Deontologici di più professioni coinvolte nella cura, è evidente lo stesso mandato a riguardo della comunicazione. Per gli Psicologi la comunicazione è lo strumento principe del proprio intervento supportivo ed è dunque evidenziato attraverso numerosi articoli del proprio Codice Professionale, ma allo stesso modo le professioni sanitarie ne sottolineano ora l’importanza.
Codice Deontologico Medici:
| Codice Deontologico Infermieri:
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ART 20 – […] nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura.
| ART 4 – […] Stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura . |
ART 33 – […] garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura. Adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale, corrispondendo a ogni richiesta di chiarimento, tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza. Rispetta la necessaria riservatezza dell’informazione e la volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione, riportandola nella documentazione sanitaria. | ART 15 – […] Partecipa al percorso di cura e si adopera affinché la persona assistita disponga delle informazioni condivise con l’equipe, necessarie ai suoi bisogni di vita e alla scelta consapevole dei percorsi di cura proposti. |
ART 66 – […] si adopera per favorire la collaborazione, la condivisione e l’integrazione fra tutti i professionisti sanitari coinvolti nel processo di assistenza e di cura, nel rispetto delle reciproche competenze, autonomie e correlate responsabilità.
| ART 15 – […] Partecipa al percorso di cura e si adopera affinché la persona assistita disponga delle informazioni condivise con l’equipe, necessarie ai suoi bisogni di vita e alla scelta consapevole dei percorsi di cura proposti. |
| ART 17 – […] Valorizza e accoglie il contributo della persona, il suo punto di vista e le sue emozioni e facilita l’espressione della sofferenza. L’Infermiere informa, coinvolge, educa e supporta l’interessato e con il suo libero consenso, le persone di riferimento, per favorire l’adesione al percorso di cura e per valutare e attivare le risorse disponibili. |
| ART 19 – […] garantisce e tutela la confidenzialità della relazione con la persona assistita e la riservatezza dei dati a essa relativi durante l’intero percorso di cura. |
| ART 20 – […] rispetta la esplicita volontà della persona assistita di non essere informata sul proprio stato di salute. |
| ART 21 – […] sostiene la relazione con la persona assistita che si trova in condizioni che ne limitano l’espressione, attraverso strategie e modalità comunicative efficaci.
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Dalla maggiore ricchezza di articoli presenti nel Codice Deontologico infermieristico si evince perchè l’infermiere risulti, tra le figure di riferimento sanitarie, l’“attore principale” del percorso assistenziale. Rappresenta infatti un punto di riferimento e sostegno per il paziente ed il caregiver nelle varie fasi del continuum clinico assistenziale. Riveste un ruolo educativo e di counseling fondamentale per aiutare il paziente a partecipare alle scelte terapeutiche in modo consapevole e contribuisce allo sviluppo del suo empowerment. L’assistenza infermieristica deve poter risultare preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, mantenendo la natura tecnica, relazionale ed educativa in ciascun ambito di cura, a maggior ragione in contesti correlati a terapie a forte impatto come quelle utilizzate in Ematologia.
L’infermiere favorisce il mantenimento delle relazioni sociali e familiari, ascolta la persona assistita con attenzione e disponibilità; sta vicino al paziente quando soffre e quando ha paura, quando la medicina e la tecnica non bastano.
(Patto infermiere – cittadino 1996)
In Ematologia infatti la degenza media, per ricoveri di cura o per un trapianto di midollo osseo, è molto più lunga rispetto quella mediamente necessaria per altre cure o altre patologie. La lungodegenza ematologica impone inoltre, come del resto accade per le indicazioni date in regime ambulatoriale, un importante cambiamento sociale.
Periodi prolungati d’isolamento sociale (negli ultimi due anni drasticamente imposto anche dalle norme Anti-COVID) finiscono dunque con il rendere ancora più pesante l’iter di cure necessario alla guarigione, accentuando una sofferenza emotiva mossa dalle preoccupazioni dell’arrivo stesso della malattia. Le prescrizioni sanitarie, così come la presa in carico ematologica o l’inizio stesso delle cure, causano un cambiamento di vita repentino ed inaspettato, causando spesso un forte trauma nel paziente e nei suoi familiari.
La preoccupazione per la diagnosi o l’esito delle cure, così come la percezione diversa di sé, del proprio corpo, della propria immagine anche familiare e sociale, rendono particolarmente sensibile e sofferente la psiche del paziente ed il clima ora vigente in famiglia. L’evidenza di tanta sofferenza fisica ed emotiva da parte del paziente e dei suoi famigliari, deve indirizzare l’Equipe curante , da parte di tutti gli Operatori Sanitari, nell’utilizzare uno stile comunicativo accogliente/empatico, oltre che informativo/operativo. E deve inoltre sensibilizzare ad un corretto utilizzo delle risorse psicologiche presenti sul campo (psiconcologi, psicoterapeuti, psichiatri, etc) che a volte rischiano di venire attivati solo dopo evidenti segnali di sofferenza emotiva e non in termini preventivi o collaborativi di base.
Con il termine “Empatia” stiamo dunque evidenziando quella abilità professionale che l’equipe curante, nella sua interezza, dovrebbe adottare cercando di comprendere e conoscere il mondo interiore del paziente, riuscendo così a leggere tra le righe ciò che ci viene raccontato.
La relazione empatica dà vita a una comunicazione che è soprattutto condivisione (“le tue paure sono giuste, ma le affrontiamo insieme”) così come l’ascolto empatico può permettere ai diversi Operatori (ematologi, infermieri, OSS etc) di comprendere meglio il vissuto del paziente (ascoltare senza interrompere, rispettare pause e silenzi dell’Altro, incoraggiarlo nella libera espressione di sé).
Tutto ciò contribuisce a creare una relazione di fiducia tra il paziente, la sua famiglia e i curanti. La malattia tende infatti a mettere in crisi la fiducia che ogni persona ha di se stessa e nelle proprie capacità di far fronte alle difficoltà; e dunque non può che aumentare la necessità di potersi fidare degli altri. La relazione d’aiuto tra equipe multidisciplinare e-paziente dovrà dunque primariamente rispondere, in senso rassicurante, a questo bisogno di fiducia, fornendo sostegno alla richiesta di ricevere aiuto ed assistenza in caso di necessità, specialmente in casi in cui, in precedenza, si siano vissute esperienze di cura di tipo fallimentare.
Gli elementi che maggiormente concorrono a fondare la fiducia sono:
– una comunicazione efficace;
– l’utilizzo comunicazione non-verbale e para-verbale;
– la disponibilità all’ascolto unitamente alla coerenza nelle proprie azioni e parole.
La fiducia comincia infatti nei primi contatti che il paziente ha con i suoi curanti ed accresce via via che l’impegno nel rapporto viene provato e verificato. Il coinvolgimento attivo del paziente, al fine di garantire che i suoi bisogni, le sue preoccupazioni siano articolati nella relazione, è poi un punto a favore della comprensione stessa delle scelte di cura proposte o della metodologia seguita a livello assistenziale. Tutto ciò concorre inoltre a creare una solida alleanza terapeutica tra curanti, pazienti e familiari, anche nei momenti più difficili della cura e della comunicazione.
Questo assunto di base ha spinto la nostra equipe trapiantologica (CTA dell’U.O. Ematologia dell’Ospedale San Gerardo ASST Monza) ad organizzare colloqui informativi pre-trapianto in cui si potessero convogliare le diverse competenze comunicative ed empatiche di ciascuna figura curante coinvolta nella lungodegenza del paziente. A fronte di questo Progetto l’evidenza che molti pazienti prossimi ad affrontare la lungodegenza in CTA (Centro Trapianti Adulti) si presentavano con molti dubbi, molte domande, tante incognite circa ciò che avrebbero dovuto affrontare. Attraverso un progetto formativo si è deciso allora di creare un gruppo di lavoro che si occupasse dei colloqui pre trapianto. Un momento che potesse venire organizzato prima del ricovero in CTA e in compresenza di parte dell’equipe multidisciplinare (medico, infermiere, psicologa) al fine di informare il paziente ed accompagnarlo all’acquisizione del consenso informato, realmente informato (educazione sanitaria). Un momento strutturato dedicato interamente a Lui e al suo caregiver/familiare, con l’intento di metterli a proprio agio di fronte a nuove figure curanti e fargli cogliere l’obiettivo comune di tutta l’equipe volta alla guarigione.
Il colloquio pre-trapianto si pone dunque come apice di un percorso di cura sostenuto da più professionisti dedicati al paziente e alla sua famiglia, in continuità con quanto fatto in precedenza dalle equipe multidisciplinari del DH Ematologico e del Reparto. La turnazione lavorativa di medici ed infermieri tra Reparto e CTA, così come la presenza della medesima figura psicologica di supporto durante la degenza, consente spesso di poter creare una certa continuità di percorso, un livello di conoscenza pregressa che apporta subito sollievo al paziente e ai famigliari, sulla scorta di un buon rapporto di fiducia presente alla base. Ad ogni modo, per maggiore chiarezza d’informazioni, l’intera equipe multidisciplinare del CTA ha progettato una brochure esplicativa che lasci traccia di quanto detto durante il colloquio pre-trapianto. Questo viene consegnato al paziente insieme ad uno schema grafico che riporta le tempistiche richieste dalla preparazione al trapianto, il suo svolgimento, l’attecchimento, la risalita dei valori, il rientro a casa dal CTA e la gestione successiva elle visite in DH.
A fine relazione al Corso Residenziale abbiamo presentato questa brochure e la linea grafica temporale d’intervento, nonché raccontato, tutelando l’anonimato dei protagonisti, il beneficio riportato dai nostri pazienti nel momento di dimissione ospedaliera e sul finire del lungo percorso di cure oncoematologiche.
A cura di
Dott.ssa Antonella Amà – Psicologa Psiconcologa Associazione Luce e Vita
Dott.ssa Chiara Coghi – Infermiera ASST Monza Ospedale San Gerardo
Dott.ssa Erika Tagliareni – Infermiera ASST Monza Ospedale San Gerardo